Scuola e formazione professionale tra gli emigrati italiani in Svizzera: percorsi di integrazione sociale

Il progetto di ricerca “Scuola e formazione professionale tra gli emigrati italiani in Svizzera: percorsi di integrazione sociale”, sviluppato da Paolo Barcella (dottore in storia e collaboratore scientifico della nostra Fondazione) grazie agli assegni triennali dell’Università di Bergamo, si è concluso con la pubblicazione del volume Migranti in classe. Gli italiani in Svizzera tra scuola e formazione professionale, Ombre Corte, Verona, 2014. Nel corso della ricerca sono stati consultati alcuni archivi della Fondazione Pellegrini Canevascini e adoperati diversi documenti lì conservati. Qui di seguito una breve sintesi del volume:

La crescente presenza dei figli dei migranti nelle scuole italiane ha aperto in anni recenti un dibattito sulle opportunità e i modi della loro
integrazione nel nostro sistema scolastico, talvolta alimentando nella popolazione i conflitti, le reazioni e i sentimenti xenofobi, presto strumentalizzati da varie forze politiche. Molti analisti e polemisti hanno sviluppato le proprie teorie e proposto soluzioni senza tenere in considerazione i precedenti storici che avrebbero aiutato a far luce sulla questione. In particolare, tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta, centinaia di migliaia di figli di emigranti dai paesi dell’Europa meridionale posero per la prima volta il problema dell’inserimento di massa di bambini stranieri nelle scuole pubbliche francesi, britanniche, svizzere e tedesche. Questi paesi reagirono in modi diversi, andando alla ricerca di politiche scolastiche rivolte ai migranti che fossero coerenti con le loro politiche migratorie.
Lo studio di Paolo Barcella ricostruisce i termini del dibattito, concentrando l’attenzione sul caso svizzero e sui migranti italiani e mostrando come la questione del loro inserimento nelle scuole e nei corsi di formazione professionale dipendesse da diversi fattori: innanzitutto, dal modo in cui gli stati intervenivano con le loro politiche; in secondo luogo, dalla posizione nel mercato del lavoro che i migranti avevano e a cui i loro figli potevano ambire; infine, dal ruolo svolto dalle associazioni sindacali, di tutela e di autotutela dei migranti.