DAL PIÙ STATO AL MENO STATO

Politica economica e finanze pubbliche
nel Ticino del dopoguerra

Martino Rossi | 1984 | pp. 141

Tratto dall’introduzione del libro

Una funzione importante della storia economica, come la concepisco, è quella di costituire un forum in cui economisti e studiosi della politica, giuristi, sociologi e storici – storici dei fatti, delle idee e delle tecnologie – possano incontrarsi e discutere tra loro
John R. Hicks

La finanza pubblica rappresenta uno dei migliori punti di partenza per l’analisi di una società, specialmente, anche se non esclusivamente, della sua vita politica. La piena fecondità di questo approccio emerge soprattutto in quei punti di svolta, o, meglio, in quelle epoche durante le quali le forme esistenti cominciano a dissolversi e a trasformarsi in qualcosa di nuovo
Joseph H. Schumpeter

Il Ticino degli anni ’80 ha appena superato il “punto di svolta” di cui parla il grande economista e storico del pensiero economico J.H. Schumpeter.
L’inversione della tendenza, per l’economia e la demografia, si situa nel 1975, in sincronia con la recessione internazionale, la più grave dopo la “grande crisi” degli anni ‘3D: dalla crescita sostenuta alla recessione-stagnazione. Per le finanze pubbliche, l’inversione della tendenza possiamo situar la nel maggio del 1980, quando il Consiglio di Stato (CdS) presentò il documento Piano finanziario 1980/’87 – Primo pacchetto di provvedimenti di risparmio: dal “più Stato” al “meno Stato”.

Viviamo quindi, secondo Schumpeter, in una di quelle epoche che rendono particolarmente fecondo l’approccio allo studio della società dal punto di vista della finanza pubblica o, più generalmente, del ruolo dello Stato.
Il ruolo dello Stato nello sviluppo dell’economia e quindi della società ticinese dal 1940 al 1980 e la svolta degli anni ’80: questo sarà dunque l’oggetto del nostro saggio, che vuole essere un contributo alla storia economica contemporanea del nostro cantone. Cercheremo, in questo contributo, di essere almeno in parte “interdisciplinari”, per soddisfare le esigenze della storia economica come il professor J.R. Hicks (premio Nobel per l’economia 1972) la intende nella definizione che abbiamo citato in epigrafe e che condividiamo: terreno di incontro per economisti, politologi, giuristi, sociologi e storici.
I limiti del nostro contributo non ci permetteranno però neppure di documentare in modo esaustivo la crescita economica e demografica senza precedenti e le profonde trasformazioni strutturali (economiche, sociali, territoriali) che hanno caratterizzato il Ticino in quest’ultimo quarantenni. Il nostro tentativo sarà piuttosto quello di andare oltre i fatti, verso la loro interpretazione. La storia infatti, non è riducibile a un mero accostamento di avvenimenti e dati, così come non lo è la scienza nella bella immagine del matematico Poincaré:

“La scienza è costruita di fatti come una casa è costruita di pietre: ma un cumulo di fatti non costituisce una scienza come un cumulo di pietre non costituisce una casa”.

Alcune “idee generali” su cui appoggiare un lavoro storico sono quindi necessarie, e ciò è sottolineato anche dal già citato Hicks, a proposito del significato della sua Teoria della storia economica:

“Sarà abbastanza più vicino al genere di cose che fu delineato da Marx, il quale desunse dalla sua analisi economica alcune idee generali che applicò alla storia, di modo che l’uniformità che egli vide nella storia aveva qualche fondamento extrastorico”.

Ecco dunque alcune “idee generali”, alcuni modelli interpretativi della realtà, che ci aiutano a capire lo sviluppo e la politica del Ticino negli ultimi 40 anni.

Siamo persuasi che, nella nostra epoca, l’evoluzione dei vari paesi (Svizzera e Ticino inclusi) è caratterizzata da uno “sviluppo ineguale e combinato”, per dirla con Trotzki. Vi sono cioè delle specificità nello tendenza generale tutti i paesi.
Una specificità importante del Ticino, come d’altronde di altre regioni, è che il suo sviluppo economico ha seguito molto bene il modello detto della “base economica” o “base di esportazione”.
L’approccio della “base economica” consiste nell’affermare che il reddito e l’impiego totali di una regione sono un multiplo del reddito e dell’impiego generati dalla domanda esterna alla regione di beni e servizi prodotti nella regione medesima.
In altre parole, vi sono alcuni settori produttivi che esercitano un effetto trainante sugli altri, che trasmettono con la loro crescita un impulso allo sviluppo di tutta l’economia regionale: perché convogliamo flussi finanziari verso la regione che vengono poi distribuiti sotto forma di salari, dividendi, interessi, rendite; perché questi redditi. vengono poi spesi – almeno in parte – nella regione, generando altri redditi; perché la crescita delle opportunità di impiego nei settori trainanti può suscitare un aumento di popolazione che, a sua volta, genera una nuova domanda di beni e servizi nella regione. Queste attività trainanti, dipendenti da domanda e finanziamenti esterni alla regione, vengono dette “di base”: si tratta delle industrie e dei servizi (banche, assicurazioni, trasporti, spedizioni …) che vendono i loro prodotti o le loro prestazioni ad acquirenti esterni alla regione (cioè che esportano); si tratta pure di quelle attività che forniscono le loro prestazioni nella regione, ma la cui contropartita finanziaria è però di origine extra-regionale: l’industria alberghiera ed il commercio al minuto che lavorano con turisti provenienti dall’esterno della regione; le imprese dell’edilizia e del genio civile che costruiscono per privati ed enti pubblici esterni alla regione (acquirenti di residenze secondarie, imprese idroelettriche di al tre regioni, Governo federale che finanzia opere stradali, militari, ecc.); servizi pubblici pagati dal Governo federale (impieghi federali nella regione – dogane, esercito, … – escluse le aziende federali gestite in forma commerciale).
E’ evidente a chiunque disponga di una conoscenza minima del Ticino che la nostra crescita economica di questo dopoguerra ha ricevuto un impulso decisivo dallo sviluppo di tutte queste attività esportatrici o finanziate dall’esterno: investimenti idroelettrici e stradali (strade nazionali), costruzione di case di vacanza e condomini per confederati e stranieri, turismo confederato ed estero, industria d’esportazione, prestazione di servizi a stranieri e confederati (banche, intermediazione …). Lo sviluppo di questi settori ha creato un’eccedenza di posti lavoro rispetto alla popolazione attiva residente che ha indotto una forte immigrazione di lavoratori esteri. Questa si è tradotta in uno spettacolare aumento della popolazione residente, che ha poi alimentato una forte domanda regionale di beni e servizi privati e pubblici. Insomma, il meccanismo della “base economica” ha giuocato perfettamente nello sviluppo economico regionale del Ticino.
Questa caratteristica dello sviluppo ticinese del dopoguerra ha implicazioni politiche. E’ evidente infatti che l’estroversione dell’economia, la sua dipendenza da mercati e capitali esterni alla regione – e anche dalla manodopera esterna alla regione – limitano i margini di manovra della politica economica e finanziaria delle autorità cantonali. Di ciò occorrerà tener conto tracciando il bilancio dell’efficacia delle politiche intraprese dal Cantone.

Il “modello di sviluppo” generale entro cui si è mossa, con le sue specificità, l’evoluzione dell’economia e delle finanze pubbliche del Ticino, è quello comune all’assieme dei paesi a economia di mercato. La crescita economica è avvenuta grazie ad un processo di accumulazione di capitale (creazione di capacità produttive tramite investimenti, introduzione di nuove tecnologie nel processo produttivo) e di concentrazione del capitale (la proprietà dei mezzi di produzione si concentra in un numero di proprietari relativamente ristretto, la produzione si concentra in unità più grandi, raggruppate in determinate aree, specialmente negli agglomerati urbani).
Questi processi di accumulazione e concentrazione comportano vistose trasformazioni nelle strutture economiche, sociali e territoriali e quindi nei rapporti di forza e nei centri di potere.
Come ha magistralmente dimostrato l’economista americano James O’ Connor – nel suo The Fiscal Crisis of the State del 1973, assunto oramai ad opera classica della scienza delle finanze – lo stato, con il suo bilancio, occupa una posizione nodale in questi rapporti di forza, nel sistema che li determina e nel processo che li trasforma. L’analisi della spesa statale non può quindi prescindere da questo intreccio di scambi e di potere fra economia, stato e società.

Scrive O’ Connor:

“Le spese e i programmi particolari, così come il bilancio nel suo assieme, possono spiegarsi soltanto nei termini dei rapporti di potere esistenti in seno all’economia privata”.

Sono questi rapporti di potere che determinano in ultima analisi il modo in cui lo Stato può assolvere ai suoi compiti fondamentali:

“La nostra prima premessa è che lo stato capitalistico deve espletare due funzioni fondamentali, spesso contradditorie: l’accumulazione e la legittimazione (…). Vale a dire, lo Stato deve sforzarsi di creare o di conservare condizioni idonee a una redditizia accumulazione di capitale. D’altra parte, lo Stato deve sforzarsi di creare o di conservare condizioni idonee all’armonia sociale. Uno stato capitalistico che utilizzasse apertamente le proprie forze di coercizione per aiutare una classe ad accumulare capitale a spese di altre classi perderebbe legittimità e minerebbe quindi le proprie basi di lealtà e di consenso. Ma uno stato che ignorasse la necessità di stimolare il processo di accumulazione del capitale correrebbe il rischio di inaridire la fonte del proprio stesso potere: la capacità dell’economia di generare un sovrappiù e le imposte prelevate su questo sovrappiù (come su altre forme di capitale)”.

E’ dunque “un’indagine dei fondamenti sociologici della finanza governativa o statale” che ci occorre per spiegare l’evoluzione della spesa pubblica anche nel nostro Cantone.
Ispirandoci a questa esigenza, con l’ausilio di questi modelli interpretativi e sulla base dell’ampia documentazione empirica elaborata soprattutto presso l’Ufficio delle Ricerche Economiche, il nostro contributo si articolerà in cinque capitoli:

  • nel primo capitolo, presenteremo alcuni indicatori dell’evoluzione demografica, economica e della spesa pubblica nel Cantone Ticino, dal 1940 al 1980. Costateremo che l’evoluzione dell’economia e dello Stato sono state sostanzialmente parallele, salvo in alcuni periodi in cui la seconda si è notevolmente accelerata rispetto alla prima. Di conseguenza, nell’arco dei quattro decenni, la crescita della spesa pubblica è stata più che proporzionale a quella, pur molto rilevante, dell’economia;
  • nel secondo capitolo, ripercorreremo la genesi, lo sviluppo e gli obiettivi dello Stato “interventista” nel Ticino. E’ questa l’analisi di ciò che si rivelerà poi, in larga misura, un’illusione: quella dello “Stato pilota” dell’economia e della società;
  • nel terzo capitolo, tracceremo un bilancio della politica economica e finanziaria del Cantone nel quarantennio esaminato. I risultati conseguiti dallo Stato “interventista” dimostreranno come l’idea di uno “Stato pilota” dell’economia e della società sia stata largamente illusoria;
  • nel quarto capitolo, vedremo come la realtà, fondamentalmente, sia stata quella di uno “Stato pilotato” dallo sviluppo economico e dalle trasformazioni sociali da esso indotte. Lo vedremo analizzando l’evoluzione – volume e struttura – della spesa pubblica;
  • nel quinto capitolo, analizzeremo l’attuale crisi dello Stato e la tendenza alla richiesta del “meno Stato”, interpretandole quale risultato della crisi economica, della crisi nella “funzione di accumulazione” dello stato e del peso fiscale della sua “funzione di legittimazione”.

Concluderemo con l’accenno alle vie d’uscita da questa crisi.

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Il libro è disponibile presso le Edizioni Casagrande di Bellinzona.